Durante l’Incontro del Comitato di Coordinamento della Rete Francescana del Mediterraneo, abbiamo intervistato Fra Francesco Zecca, OFM, del Progetto Oikos e coordinatore GPIC della COMPI (Conferenza Ministri Provinciali di Italia e Albania).
Fra Francesco, parlaci di Oikos. Perché la scelta di Taranto?
Oikos nasce proprio a Taranto, dal nostro convento francescano, in una città ferita dal punto di vista ambientale e sociale. Da lì vogliamo ripartire e innescare un processo sull’ecologia integrale non solo per la città di Taranto, ma per tutto il Mediterraneo. Già da 5 anni collaboriamo con la Pontificia Università Antonianum, la Camera di Commercio di Taranto, un gruppo di imprenditori e un gruppo di laici giovani che da 10 anni stanno lavorando sulla economia civile: si è così innescato un percorso sull’ecologia integrale che può essere modello per altre realtà. Da un luogo ferito e “violentato” dal punto di vista sociale, ambientale ed economico, può invece partire una proposta alternativa di una economia diversa, di una cultura diversa, che non sia solo per la città ma che riguardi tutto il Mediterraneo. Nel 2026 a Taranto si terranno i Giochi del Mediterraneo: questa è una bella occasione per innescare una cultura e un pensiero diverso.
Nel XXI secolo il modello industriale dell’acciaieria Ilva non sembra obsoleto?
L’Ilva continua a produrre, ma non con i ritmi del passato: se prima produceva 8 milioni di tonnellate l’anno di acciaio, adesso ne produce tre milioni, quindi è in sottoproduzione, anche perché è ancora in corso il processo e alcuni impianti sono sequestrati. È una situazione molto complessa, perché stiamo parlando di un’industria che è grande due volte e mezza la città, stanno continuando i licenziamenti e molti lavoratori sono già in cassa integrazione. Esiste un problema sociale oltre che ambientale, ma c’è una città che sta cercando di dare delle alternative alla grande industria. La grande industria nel ‘900 è stata presentata come il miracolo del Mezzogiorno, ma si è rivelata un grande bluff, perché ad esempio non ha valorizzato il territorio, anzi! Basti pensare a come la città abbia perso il legame col suo mare. Bisogna quindi riallacciare questo legame col mare, recuperare la capacità imprenditoriale nei giovani che è stata distrutta e fare percorsi di valorizzazione del territorio, della cultura, della storia della piccola impresa.
Spesso si dice che “o si muore di fame, o si muore di inquinamento”. Cosa pensi di questo binomio?
Purtroppo per tanti anni l’Ilva è stata l’unica fonte di lavoro per migliaia di persone. Quando parlo della necessità di innescare una nuova mentalità imprenditoriale parlo proprio di questo: se l’impresa genera reddito ma non è attenta alla vita, non è vera impresa. Il rischio è che si continui con delle politiche industriali vecchie, che non sono quelle dell’ecologia integrale. Ecco perché bisogna partire da Taranto per dire che c’è bisogno di una visione diversa, che non riguarda solo quella città: è un problema globale su come allacciare impresa, società, ambiente e salute, su come tenere insieme le cose. È un problema di ecologia integrale, di uno sguardo e di una cultura diversa.
L’incontro della Rete Francescana del Mediterraneo avviene poche settimane dopo la tragedia dei migranti a Cutro (KR, Italia). La mia personale impressione è che oggi ci si commuova più davanti alla foto di un gattino abbandonato che di fronte a drammi del genere. Qual è la tua impressione?
Quando Papa Francesco fu eletto, il primo viaggio che fece fu a Lampedusa, pochi giorni dopo una tragedia del mare. Lì parlò della globalizzazione dell’indifferenza, che è un dramma: io credo che sia un problema culturale da affrontare seriamente, dobbiamo cambiare e far cambiare il modello di pensiero che prevede vite di serie A e vite di serie B, vite non degne di lutto, che possono morire e che non si possono nemmeno piangere, che sono ridotte ad essere un codice o un numero. Quello che il Papa ha innescato in questi 10 anni con i viaggi nel Mediterraneo, con il documento sulla fratellanza umana, con le due encicliche, Laudato si’ e Fratelli Tutti, e quindi con la costruzione del Mediterraneo come “Casa Comune”, può diventare l’emblema di tutto questo: come trasformare queste acque di morte in acque di fraternità.
I francescani come rispondono a questo appello?
Noi francescani siamo presenti in quasi tutti i paesi del Mediterraneo, ma abbiamo bisogno di passare da un impegno locale ad una visione più globale, che connetta tutte le realtà impegnate. Questo significa lavorare insieme, cambiare le strutture che forse non rispondono più ai bisogni di oggi. Ce lo chiede la storia: in 10 anni nel Mediterraneo sono morte 25000 persone: questo non può lasciarci indifferenti, ci deve interpellare e deve innescare dei percorsi che non sono solo di assistenza nei confronti di quelle persone, ma devono aiutare a disinnescare processi che sono criminali. Dobbiamo favorire il linguaggio della pace, del dialogo, della fraternità.
Non siete soli in questo processo.
No, si è lavorato e collaborato tanto anche con i musulmani. Qualche giorno fa qui a Roma è stato firmato un patto sulla comunità energetica tra la Curia Generale di Roma, la Grande Moschea e la Pontificia Università Antonianum, ma dietro c’è tutto un lavoro di collaborazione anche con la Pontificia Accademia Mariana. Il ruolo di Maria, che collega e unisce cristiani e musulmani, ci dice che anche il ruolo della donna può essere pensato in maniera diversa. Anzi, Maria è la porta d’accesso per ripensare il ruolo della donna, che è uno dei drammi di tanti paesi del Medio Oriente o dell’Africa Settentrionale.
Il Progetto Oikos (“casa” in greco) coinvolge università, imprese, monasteri, giovani, cultura, per rendere davvero il Mediterraneo una “casa comune”.
Importante è innescare reti tra tutte queste entità: con i monasteri delle clarisse, che hanno uno sguardo contemplativo sulla realtà, stiamo creando una rete dei santuari Mariani in tutto il Mediterraneo, per innescare reti di dialogo di pace in luoghi anche complicati come il Libano. Stiamo lavorando su come far nascere gruppi di giovani educati alla “casa comune” attraverso un tour musicale in 10 città del Mediterraneo, che si avvale della collaborazione di Giovanni Caccamo. Si è già costituito a Taranto un gruppo di giovani che si sta formando su come convertire l’impresa classica in una nuova impresa secondo l’ottica dell’ecologia integrale: il profitto non deve essere il fine, ma il mezzo per raggiungere il benessere della comunità. Stiamo collaborando con le università, alla PUA esiste già il diploma di Ecologia Integrale. Sarebbe bello un giorno avere un cambio di mentalità e, ad esempio, offrire ai giovani la possibilità di un Erasmus del Mediterraneo, che faccia cambiare la visione del Mediterraneo da frontiera, da mare di morte, a luogo di incontro e di contaminazione reciproca proficua.